nov 23, 2011

Alluvione in Thailandia


Da ormai quasi due mesi la Thailandia sta fronteggiando una della più gravi alluvioni degli ultimi cinquant’anni. 

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Alluvione in Thailandia: l’onda lenta che sta piegando il paese

 

Da ormai quasi due mesi la Thailandia sta fronteggiando una della più gravi alluvioni degli ultimi cinquant’anni. Dopo una stagione delle piogge iniziata prematuramente tra la fine marzo e l’inizio di aprile, il paese si trova ora a gestire una quantità d’acqua che ha già causato danni enormi alla popolazione del centro paese e anche della capitale. Spostandomi in aereo da Chiang Mai (nord del paese) a Bangkok, ho potuto constatare con i miei occhi la massa enorme di acqua che ha sommerso interi distretti. Dove c’era la terra si può ora vedere una immensa palude. L’antica capitale, Ayutthaya, dall’inizio di ottobre si trova sommersa dall’acqua che in certi punti raggiunge e supera i due metri. 

I numeri parlano da soli: più di 700.000 mila persone che sono senza lavoro, a causa anche dell’allagamento di diversi distretti industriali; quasi 600 morti dall’inizio dell’alluvione; più di 3 milioni di persone che hanno dovuto lasciare la casa per rifugiarsi in zone più sicure. Un evento che certamente sarà ricordato nella storia di questo paese e di cui ancora è difficile misurarne le conseguenze sociali ed economiche. Oltre al danno per le fabbriche anche le conseguenze per l’agricoltura sono notevoli. 

Difficile capire i motivi che hanno portato a questa situazione. Qualcuno scarica tutta la responsabilità alle abbondanti (più del solito) piogge; altri avanzano una critica alla cattiva gestione delle acque; altri si appellano alle responsabilità politiche del governo in carica. Probabilmente nessuna di queste spiegazioni è esauriente da sé, ma tutte hanno una loro fondatezza. Sicuramente quando succedono disastri come questo non possiamo esentarci da chiederci quale legame abbiamo con il territorio in cui viviamo e se le politiche di sviluppo non vadano riviste in un rapporto più rispettoso e armonioso con l’ambiente. Probabilmente lo sfruttamento delle risorse naturali che sta alla base dei nostri modelli di sviluppo non è così adeguato al reale progresso dell’umanità e non è sostenibile. Fenomeni così drammatici ci mettono davanti all’urgenza di dare delle risposte serie e di rivedere il mito di una crescita a dismisura. 

Al di là di queste riflessioni poi, sta il fatto che la popolazione ha subito un forte colpo, sia economico che morale. Molti hanno perso tutto quello che avevano costruito nel faticoso lavoro quotidiano di una vita. C’è gente che, al limite della disperazione, pensa anche al suicidio, non vedendo la possibilità di una ripresa personale.

D’altro canto in tutto questo fa emergere anche la grande pazienza di un popolo, capace di sopportare le difficoltà con uno spirito di solidarietà. Molti si stanno muovendo per assicurare aiuti sia materiali che psicologici a coloro che sono stati colpiti da questo disastro. Privati cittadini, associazioni, aziende, governi di altri paesi si stanno muovendo per assicurare sostegno alle vittime dell’alluvione e al governo thailandese che già sta pensando alla ricostruzione e ad un piano preventivo per evitare altri disastri simili. E’ una solidarietà concreta, che forse nasce anche nel forte senso patriottico del paese e sull’orgoglio di essere “thai”, ma che esprime anche un vera “compassione”, presente nello spirito della gente comune. 

Davanti a tutto questo a noi resta la responsabilità di non chiudere il cuore nei “problemi di casa nostra”, ma di avere, pur nel difficile momento che anche l’Italia sta vivendo, quello sguardo “cattolico” (cioè universale) che dovrebbe caratterizzare le nostre comunità parrocchiali e la nostra cultura che affonda le sue radici nel cristianesimo.